martedì 20 aprile 2010

Una meta contro l’Apartheid (il neurone 15 marzo 2010)

E’ il 1995 quando il Sudafrica, appena uscito dagli anni più bui della sua storia, ospita il campionato mondiale di rugby. E' uno Stato che, per larga parte del Novecento vittima delle politiche dell'Apartheid dei suoi stessi governi, è al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica internazionale, già da qualche anno, grazie al suo nuovo Presidente (il primo di origini africane) Nelson Mandela. La sua elezione, chiaramente osteggiata dalla privilegiata razza bianca sudafricana, ha fatto del Sudafrica un Paese realmente democratico, cancellando le politiche razziste dei governi degli Afrikaners.
Uno dei simboli più forti dell'Apartheid sudafricano, però, è proprio il rugby, lo sport per eccellenza della razza bianca, che si contrapponeva al calcio, sport più diffuso nella popolazione di razza africana. (Eloquente dell'odio che serpeggia nel Paese, è il tifo che gli emarginati di colore facevano per le squadre avversarie nei match di rugby). In quanto simbolo dell'Apartheid anche a livello mondiale, la partecipazione della nazionale sudafricana (gli Springboks) alle competizioni internazionali non era affatto gradito.
Nel 1995, il Sudafrica, scelto come Paese ospitante della massima manifestazione del rugby, i Mondiali, è ammesso di diritto ed anche per la recente svolta che il Paese stesso ha dato alle proprie politiche. E' lo stesso Nelson Mandela che, approfittando della grossissima vetrina internazionale, "decide" di fare degli Springboks, l'icona del nuovo Sudafrica, compito piuttosto ostico, visto che la selezione prevede una quasi totalità di atleti bianchi, capitanati dall'atleta Francois Pienaar, ed un solo atleta di colore, Chester Williams.
La nazionale sudafricana non parte coi pronostici favorevoli della critica sportiva, anche per gli sciagurati test match prima dell'inizio della competizione mondiale. Però, con l'inizio della manifestazione, gli Springboks iniziano una marcia trionfale vincendo con Australia, Romania, Canada, Western Samoa e Francia, ed affrontando poi, in finale, gli ultrafavoriti All blacks neozelandesi, dell'irresistibile John Lomu. Questa partita è una delle più combattute e belle del mondiale che vede, dopo i tempi supplementari, i sudafricani prevalere sugli oceanici per 15-12, col drop risolutivo del numero 10 Joel Stransky. Gli Springboks, così, diventano i campioni del mondo. Lo diventeranno anche nel 2007 in Francia, ma la vittoria del '95, assume per diversi aspetti una aura leggendaria, ispirando anche Clint Eastwood che, nel 2009, realizza il film "Invictus", la storia di quei giorni e del legame particolare nato fra Mandela stesso e il capitano Pienaar (interpretati, nella pellicola, rispettivamente da Morgan Freeman e da Matt Damon).
L'esempio degli Springboks, a mio parere, è da considerarsi emblematico. Una giusta politica di integrazione, a volte mischiata allo sport, è una ottima strada per superare le barriere costruite dalla paura del diverso.

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